La nuova serie tv di Netflix Baby Reindeer è già un caso, grazie alla feroce crudezza delle scene e alla fortissima componente emotiva e introspettiva
Baby Reindeer, serie tv britannica targata Netflix, è una delle novità del catalogo della piattaforma di streaming. Nonostante la sua uscita sia recente, è già prima in classifica in Italia, riscuotendo un buon successo di pubblico. Trattasi della straziante storia di un giovane scozzese, Donnie, trasferitosi a Londra per fare il comico ma che arrotonda lavorando come cameriere in un pub della capitale inglese. È proprio sul bancone di quel pub che l’incubo di Donnie prende le mosse, conducendolo in una spirale di paura, poi di ossessione, poi di dubbi che durerà cinque anni.
Baby Rendeer: come inizia un incubo
Donnie è un giovane scozzese, classe 1989. Il ragazzo, che sogna di diventare un comico di successo, si traferisce nella tentacolare Londra, sperando che in una città tanto grande e cosmopolita potesse essere più facile trovare un palco e un pubblico. Fra un tentativo e l’altro, Donnie capisce che è necessario comunque trovarsi un lavoro che possa permettergli di vivere nella costosissima capitale inglese. Inizia quindi a lavorare in un pub.
In una giornata di lavoro uguale a molte, troppe altre, Donnie incrocia la strada di Martha. Immediatamente, anche solo nell’aspetto vagamente trasandato, Donnie prova un sentimento di pietà nei confronti della donna, che se ne sta sola e triste seduta a una sedia proprio al bancone. Donnie fa per servirla, ma la donna gli comunica che non ha soldi a sufficienza per potersi permettere qualcosa da bere. Il ragazzo allora decide di offrirle una tazza di tè.
È questa innocua decisione da parte del giovane che innesca un meccanismo malsano nella mente della donna. Sin dall’inizio emergono delle incongruenze: Martha – questo è il suo nome – afferma di essere un brillante avvocato di successo. Eppure non può permettersi neanche una tazza di tè, e usa un cellulare piuttosto vecchio per gli standard di una persona in carriera. Donnie, tuttavia, non sembra dar peso (o sceglie di non voler dar peso) a questi elementi: per lui, Martha è solo una persona sofferente, che ha bisogno di chiacchierare. Niente di nuovo per un pub.
Dalla chiacchiera però Martha passa fin troppo presto alle confidenze. Addirittura, inizia a chiamarlo “baby reindeer” (nella versione italiana, “piccola renna”), un nomignolo affettuoso che cela un trascorso emotivamente devastante. Martha, non paga, passa alle proposte sempre più spinte, fino a scendere, portandosi con sé, un già fragile Donnie, già vittima di abusi fisici e psicologici anche da parte di un uomo.
Perché Baby Reindeer è un cazzotto nello stomaco del pubblico
Sin dall’esordio, la serie è stata presentata come un prodotto forte. Anzi, per molti a dir poco disturbante. Eppure i numeri parlano chiaro: è la prima serie tv in classifica di Netflix Italia, e già in molti ne hanno e ne stanno parlando. Quello che però è più interessante è capire il perché un prodotto tanto dichiaratamente morboso abbia colpito il pubblico, generando un tale tam tam.
La componente ossessiva e morbosa è quella che muove la trama di Baby Reindeer. Martha (il cui personaggio aveva già ricevuto delle condanne per stalking nei confronti di altri uomini) diventa ossessionata da chiunque le offra comprensione e gentilezza. La donna inizia a essere ossessionata da Donnie, prima in una maniera più amichevole presentandosi ai suoi spettacoli, poi diventando invadente, con una richiesta d’amicizia su Facebook.
Man mano Martha riesce a insinuarsi nella vita di Donnie, mandando persino all’aria una relazione con una donna transessuale, Teri, da lei aggredita fisicamente e insultata per il suo essere una persona transgender. Ma Martha si spinge ancora più in là: diventa aggressiva durante le performance di Donnie e arriva persino a minacciare i suoi genitori, che vivono ancora in Scozia, e la sua ex-ragazza.
In effetti, quello che sembra essere il principale problema di Donnie è l’incomprensione. Un uomo perseguitato da una donna sembra essere un evento più risibile che serio. Tutti, dai colleghi agli agenti di polizia – ma anche i personaggi femminili – sembrano vittime dell’idea per la quale gli uomini semplicemente non possono essere vittime di violenza.
Ciò che fa paura, certamente, è la capacità di Martha di insinuarsi senza porsi dilemmi morali nella vita di un giovane sconosciuto molto più giovane di lei. D’altro canto, però, la serie ci invita a una più profonda riflessione sullo stato d’abbandono di una persona in evidente difficoltà e sulla sua solitudine. Soffriamo anche con Martha perché, nonostante recidiva e processata più volte per lo stesso reato, non ha mai ricevuto le cure giuste per non farle ripetere il crimine. Poi, Donnie. Un giovane che si porta dentro il fardello di altri abusi, fisici e psicologici, e che non viene capito. Anzi, viene deriso dai suoi colleghi e ignorato dalla polizia.
Ma nessuno dei due può essere assolto. Donnie, a un certo punto, sviluppa una perversa lusinga per via dell’ossessione sviluppata da Martha nei suoi confronti. Baby Reindeer fa male perché non assolve nessuno, perché qui la vittima coincide col carnefice.
Baby Reindeer: dal vero, al teatro, alla tv
Lo si legge spesso su molti prodotti cinematografici e seriali. Eppure, quando si guarda Baby Reindeer e si scopre che è ispirato a una vicenda reale, la notizia non può non farci accapponare la pelle. In effetti, la storia che ha ispirato la serie non è (solo) opera di una sceneggiatura scritta ad arte. L’attore che interpreta il protagonista nella serie – Richard Gadd – è stato anche il protagonista reale di una vicenda a di poco disturbante. Gadd ha raccontato la sua storia prima con uno spettacolo teatrale, diventato successivamente una serie.
Durante il Fringe Festival, una serie di eventi che hanno luogo nel cuore della capitale scozzese, Gadd partecipa con i suoi spettacoli nel 2019. Nel corso di quelle giornate, inizia a ricevere delle molestie da parte di una donna. “Nella vita reale ho ricevuto 41.071 e-mail, 350 ore di segreteria telefonica, 744 tweet, 46 messaggi, quattro falsi account Facebook, 106 pagine di lettere” dichiara l’attore. Fortunatamente anche Gadd è riuscito a dimostrare che quella donna lo stalkerava.
Oggi, l’attore è fiero di poter raccontare la sua storia. Storia che accomuna molte persone, che lottano contro la paura di agire, quella di non essere credute e creduti, e quella dello stigma sociale.