Pittore ribelle e scrupoloso osservatore della natura, Giovanni Fattori fu uno degli artisti più importanti dei Macchiaioli
Giovanni Fattori è uno dei principali esponenti del movimento toscano dei Macchiaioli e sebbene aderisca alla corrente, la ricerca dell’artista mantiene una visione del tutto personale.
Le sue opere infatti trascendono oltre al realismo della pittura macchiaiola e nella sua esperienza di vita Fattori si avvicina agli ideali risorgimentali, pur mantenendo impressionato dal lato cruento delle guerre d’indipendenza italiane, dove lui si rifugia nell’assolata terra di Maremma, tra paesaggi silenziosi e sospesi, mentre la sua fama cresce anche tra i contemporanei.
Il gruppo dei Macchiaioli nasce dagli autori e intellettuali che, nel 1848, frequentavano il Caffè Michelangelo di Firenze. Proprio come suggerisce il termine, le figure nelle opere sono create dagli artisti contrapponendo delle macchie di colore.
La tecnica si rifà al meccanismo dell’occhio e a ciò che percepisce a prima vista: ciò ricorda anche la ricerca alla base della pittura impressionista. Il nome Macchiaioli ha un senso dispregiativo: lo usa per la prima volta un cronista che recensisce negativamente una mostra del gruppo. Lo stesso di cui fanno parte anche Telemaco Signorini, Silvestro Lega e Adriano Cecioni.
Giovanni Fattori: biografia, temi e opere famose
Giovanni Fattori nasce a Livorno il 6 settembre 1825 e inizia a lavorare nell’attività commerciale del fratello Rinaldo quando è ancora un bambino.
Assunto come scrivano, l’artista impara a leggere e scrivere da autodidatta e ben presto dimostra un notevole talento per il disegno: ciò convince il padre a metterlo a bottega da Giuseppe Baldini, un modesto pittore livornese.
Nel 1845 l’artista si trasferisce a Firenze, dove l’anno successivo si iscrive all’Accademia di Belle Arti, che frequenta con scarso profitto. Dall’attitudine ribelle, Fattori entra in contatto con il Partito d’Azione, partecipando soprattutto da testimone alla prima guerra d’Indipendenza italiana nel 1848.
L’esperienza del Risorgimento segna profondamente la sua concezione morale: non dipingerà battaglie in modo celebrativo, bensì solo in maniera descrittiva o tragica.
Nello stesso anno a Firenze apre il Caffè Michelangelo: qui si ritrovano gli artisti toscani del tempo. Fattori lo frequenta condividendo il clima amichevole e di rinnovamento che vi si respira.
Resta, comunque, meno interessato alle discussioni di carattere artistico e qui conosce anche la sua futura moglie, Settimia Vannucci. Dopo la sua precoce scomparsa, però, il pittore torna a Livorno per focalizzarsi sulla tecnica macchiaiola: tra paesaggi e temi quotidiani la sua libertà espressiva si fa più fluida.
Nel 1875 l’artista trascorre qualche mese a Parigi ma non si dimostra particolarmente attratto dalle ricerche dell’Impressionismo.
Dopo diverse mostre in giro per l’Italia e l’Europa, nel 1869 Fattori è nominato professore di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze. In questo periodo, però, avverte una certa incomprensione nei suoi confronti, oltre ad allontanarsi dagli ideali risorgimentali.
A riscaldargli l’animo arriva Amalia Non Lemberger, con cui intreccia una breve ma dolce storia d’amore. Dal 1882 si dedica alle incisioni dei butteri, che vede mentre si trova ospite del principe Tommaso Corsini.
Nel 1885 ha una relazione con la vedova Marianna Bigazzi e la sposa. Sul finire dell’Ottocento la produzione di opere è così cospicua che partecipa alla Biennale di Venezia sin dalla sua istituzione. Giovanni Fattori muore il 3 agosto del 1908 a Firenze.
Come detto precedentemente, Fattori è considerato il maggiore dei pittori Macchiaioli, ma quali sono i soggetti prediletti dall’artista?
Osservando le opere, tra i temi più ricorrenti ci sono i paesaggi della Toscana meridionale, senza dimenticare i soggetti militari, che si rifanno alle vicende storiche vissute nella sua contemporaneità e i ritratti di familiari e amici.
Tra i dipinti più celebri di Giovanni Fattori ci sono quelli appartenenti al filone storico, come I soldati francesi del ’59: la visione dell’artista è piuttosto personale e viene unita la ricerca tradizionale dei Macchiaioli e l’osservazione dal vero.
La scena raffigurata ritrae di spalle dei membri delle milizie francesi, accampati nel Pratone delle Cascine di Firenze. I militari, con dei pesanti zaini alle spalle e i cappelli rigidi, si stanno mettendo in marcia con il loro ufficiale.
La composizione è rigorosa, figure e spazio sono bilanciati e il dipinto viene eseguito a rapide macchie cromatiche. I soldati francesi del ’59 risale al 1859 ed è conservato in una collezione privata milanese.
La rotonda Palmieri, Bovi al carro e le ultime opere
Sicuramente però, l’opera più iconica del maestro è La rotonda Palmieri. Intanto colpisce il formato della tela, orizzontale, lungo e stretto (che oggi diremmo panoramico).
Sono raffigurate delle donne eleganti che si stanno sedendo all’ombra, sotto il tendone dello stabilimento balneare Palmieri, a Livorno.
La figurazione dell’artista si fa più sintetica. A dettare il ritmo nell’opera è la scansione cromatica, mentre il formato accentua la profondità dell’orizzonte.
Il particolare contrasto tra la zona in ombra e scura in primo piano e la sottile striscia chiara, che rappresenta la banchina assolata, crea la sensazione di una opprimente calura pomeridiana. La rotonda Palmieri è un quadro del 1886, oggi esposto alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, a Firenze.
Nell’opera Bovi al carro, Giovanni Fattori rappresenta la quiete e il sole della campagna e con ogni probabilità si tratta della Maremma toscana, dove un contadino si ritempra dopo il lavoro nei campi sul suo carro trainato da due buoi bianchi.
Sullo sfondo s’intravede il mare e la scena è avvolta dalla luce abbacinante del sole di mezzogiorno. Le ombre, infatti, riescono a suggerire l’orario.
Si percepisce la sensazione di immobilità e di calma irreale, come nel quadro Il riposo, del 1887, presente alla Pinacoteca di Brera. Bovi al carro, invece, è un dipinto del 1867, oggi si trova alla Galleria d’Arte Moderna presso Palazzo Pitti, a Firenze.
Nelle opere successive come La libecciata, la natura è la protagonista. Dipinto dal forte impatto espressivo, raffigura la forza scatenata dagli elementi in un paesaggio marittimo.
Gli alberi sferzati dal vento si piegano verso il terreno e il mare sul fondo s’increspa. Delle stoppie arse dal sole in primo piano contribuiscono a dare il senso del ritmo all’opera. La scena sarebbe un’allegoria dello stato d’animo di Fattori.
Quando la dipinge, egli è solo e non capito dai suoi contemporanei: anche i suoi ideali patriottici si rivelano fallimentari. Per ritrovare la forza morale che ha sempre ispirato la sua arte, quindi, si rifugia nella natura e nel mondo contadino. La libecciata è un’opera del 1880-85, presente anch’essa alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti.