“Ricordatemi come vi pare”: il testamento di Michela Murgia

“Ricordatemi come vi pare – in memoria di me” di Michela Murgia è il libro-testamento della scrittrice sparita il 10 agosto dello scorso anno. In uscita il 30 aprile per Mondadori, il libro raccoglie l’eredità letteraria, politica e personale di una grande intellettuale.

Michela Murgia è già considerata la più importante intellettuale italiana della nostra epoca. Un’intellettuale dalle idee ferme e non negoziabili, e per questo assolutamente polarizzante. Attiva tanto sul fronte della letteratura (si pensi ad “Accabadora“) quanto su quello della divulgazione, che avveniva sia mediante un podcast (“Morgana“, condotto con Chiara Tagliaferri) e attraverso la sua pagina Instagram. Un’intellettuale, Michela Murgia, che era in grado di parlare dell’indipendenza sarda quanto del K-Pop. Un’intellettuale sicuramente scomoda e a molti indigesta che oggi viene ricordata, e a ragion veduta, con grande malinconia, ma con la consapevolezza che le sue parole hanno cambiato che ha saputo ascoltarle.

Chi era Michela Murgia

Fin dal principio, Murgia si è configura come un’intellettuale atipica. Non ha alle spalle una formazione accademica fatta di lauree e dottorati di ricerca. Murgia si diploma presso l’Istituto tecnico commerciale di Oristano, per poi iscriversi presso l’Istituto di Scienze religiose della diocesi della città, senza mai concludere il suo percorso di studi. In seguito, Murgia lavora nei contesti più disparati. Inizia insegnando per sei anni religione nelle scuole, per poi lavorare come venditrice di multiproprietà, operatrice fiscale, dirigente amministrativa in una centrale termoelettrica e portinaia notturna. “Il mondo deve sapere” è il suo primo libro – nato originariamente come un blog e pubblicato nel 2006. Lì, Murgia denuncia lo stato di sfruttamento, di maltrattamento e di precarità nel mondo del telemarketing. Il libro diviene prima uno spettacolo teatrale, poi ispirazione per il film “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì.

Il successo letterario giunge con la pubblicazione, nel 2008, per Einaudi di “Viaggio in Sardegna“. Trattasi di una guida letteraria dei posti meno conosciuti della sua tanto amata isola. Nel 2009 pubblica, ancora per Einaudi, il romanzo “Accabadora“. È l’opera che la consacra e che la fa conoscere finalmente al grande pubblico. Un romanzo che intreccia sapientemente il folklore di una terra ancora intatta, pratiche ancestrali sopravvissute, gli anni ’50, il tema (ancora oggi troppo poco dibattuto) dell’eutanasia e l’adozione. Vince il premio Mondello e il premio Campiello.
La collaborazione con la casa editrice torinese continua, con “Ave Mary. E la chiesa inventò la donna“, nel 2011.

Dopo l’affermazione nel campo letterario, Murgia prende parte anche ad alcune trasmissioni televisive e radiofoniche . Tra il 2016 e il 2017 partecipa alla trasmissione “Quante storie” di Rai 3, condotto da Corrado Augias, tenendo una rubrica quotidiana di recensioni letterarie e consigli librari. Dal 30 settembre al 4 novembre 2017 ha condotto, stavolta da sola, il sabato pomeriggio su Rai 3, il programma d’informazione politica e culturale “Chakra“.

Nel 2018 scrive per Einaudi “Istruzioni per diventare fascisti“, un pamphlet che verrà pubblicato in cinque lingue. Nel febbraio del 2019 esce per le edizioni Salani una raccolta di storie illustrate, dal titolo “Noi siamo tempesta“. Il titolo nello stesso anno vince il premio Morante e la menzione speciale della giuria del premio Andersen.

Nel 2019 conduce, con la scrittrice Chiara Tagliaferri, il podcast “Morgana – La casa delle donne fuori dagli schemi“, dedicato alle fin troppe donne dimenticate della storia della letteratura e non solo. Dal settembre 2019 all’agosto del 2020 ha condotto su Radio Capital, con Edoardo Buffoni, la trasmissione serale quotidiana “TgZero“.

Dal gennaio 2021 ha curato “L’Antitaliana“, una storica rubrica del settimanale “L’Espresso” nata negli anni ’80 e curata prima da Giorgio Bocca e poi da Roberto Saviano. Di fatto, Murgia è stata la prima donna ad aver curato questa rubrica.

Il 6 maggio 2023, la scrittrice dà notizia al Corriere della Sera del suo tumore, ormai in fase terminale. Senza scendere in fin troppo facili e grottesche forme di supereroismo, Murgia ha continuato la sua opera di divulgazione e di contestazione senza nascondere l’aggravarsi della malattia.

Murgia muore il 10 agosto dello stesso anno, in un funerale che non è esagerato descrivere come “politico“: basta ascoltare le parole di commiato scritte e lette in pubblico presso la basilica di Santa Maria in Montesanto (in Piazza del Popolo, a Roma) da Chiara Valerio. Un funerale partecipatissimo anche da chi aveva conosciuto Murgia anche solo attraverso le sue opere.

foto della scrittrice Michela Murgia durante una conferenza con vestito bianco a fiori e cappello nero
https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/libri/altre_proposte/2024/01/11/michela-murgia-reading-di-dare-la-vita-al-teatro-quirino_339648dd-b5c5-43a7-a499-c78c60bab9d8.html-artepassante.it

Michela Murgia: cattolicesimo e femminismo queer, Gramsci e K-Pop

Michela Murgia e il suo pensiero fuggono qualsiasi tipo di incasellamento e definizione. Poneva in essere idee a volte apparentemente contraddittorie, ma che nell’insieme offrivano come risultato il ritratto di un’intellettuale unica e multi-sfaccettata.

La formazione di Murgia è stata sicuramente di stampo cattolico. Lei stessa si è definita tale. Ne sono una conferma le conversazioni a sfondo religioso con il cardinale Matteo Maria Zuppi. Una fede che per molti cozza con il femminismo, del quale Murgia è stata profonda conoscitrice ed esponente. Due dimensioni che sembrano non poter andare d’accordo, specie per le istanze conservatrici e spesso misogine espresse dalla Chiesa. Si pensi al tema dell’aborto, a quello delle adozioni omogenitoriali, o in generale al ruolo della donna secondo il Vaticano.
Murgia credeva ferocemente non solo nelle istanze del femminismo, ma anche in una maggiore apertura nei confronti delle persone omosessuali, transessuali e non binarie. Spesso, infatti, nelle sue comunicazioni usava la schwa (ə) al posto dei suffissi maschili o femminili. Credeva nel fatto che il genere non fosse qualcosa di definito e incasellabile. Anche il suo matrimonio, avvenuto poco tempo prima della morte, è stata una “cerimonia queer“, con abiti unisex, per adattarsi indistintamente ai corpi di chi li indossava.
Nella sua idea, semplicemente, fede e istituzione sono state distinte e distanti.

Poi, l’impegno politico che conviveva con passioni apparentemente effimere. Sostenitrice dell’indipendenza sarda, simpatizzava per il movimento “IRS” (Indipendentzia Repubrica de Sardigna) e poi per il partito progressista “ProgReS” (Progetu Repùblica de Sardigna). Si era anche presentata come presidente per le elezioni regionali nel 2014.
Inoltre, Murgia è stata una lettrice e ammiratrice del pensiero gramsciano.
Tutto ciò, conviveva pacificamente con l’amore per il K-Pop (la musica pop coreana), in particolare per il gruppo BTS.
In un’intervista a Vanity Fair, Murgia parla di come la malattia, al netto del dolore, le abbia portato una qual certa dose di spensieratezza, arrivando a posare per un servizio fotografico che lei stessa definisce “liberatorio”. Senza più la voglia di doversi misurare con la sua immagine da intellettuale rigorosa, Murgia si è aperta all’idea di leggerezza. Leggerezza calviniana, che non è superficialità.

Fotografia di Michela Murgia con sfondo nero
https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2023/08/10/e-morta-alleta-di-51-anni-la-scrittrice-michela-murgia_3b4b5835-56d5-4630-b236-89f9c0274513.html-artepassante.it

“Ricordatemi come vi pare”, il testamento postumo di un’intellettuale

Nel titolo, c’è già tutto. Si tratta infatti di un memoir della scrittrice. Presa ormai coscienza dell’avanzare inesorabile di una malattia che, nel giro di tre mesi, l’avrebbe portata alla morte, Murgia decide di raccontarsi senza paure. Parla delle sue “dieci vite“. Ma anche di politica, di scrittura, della fede, del successo, delle amicizie. Ma anche della malattia, della vita e della morte.

Il libro nasce dal racconto di sé fatto, poco prima di morire, a Beppe Cottafavi. Un libro che prova a catturare tutte le sfumature di una personalità complessa. Dalla sua famiglia queer passa alle “matriarche oristanesi”, alle lezioni di lingua sarda, alla cultura coreana. Poi all’esegesi dei testi sacri, alla politica e alla militanza.

Il libro è anche il risultato del ritrovamento di testi perduti, fra cui quattro racconti. Ne emerge una chiacchierata gioiosa fra amici, senza che lo spettro della morte (ormai, al tempo, imminente) funestasse la conversazione. Un prezioso resoconto, una biografia organica che non poteva che essere così. Con lo sprezzo della paura, la sfacciataggine e il desiderio di libertà di una scrittrice “antagonista”.

Il volume è in uscita il 30 aprile per la casa editrice Mondadori, ma dal 10 aprile è possibile pre-ordinarlo.

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