La capanna dello zio Tom: il romanzo dell’abolizione della schiavitù

Il 172esimo anniversario de “La capanna dello zio Tom”, il libro che scosse l’America e aprì le porte all’abolizione della schiavitù

“La capanna dello zio Tom” uscì il 20 marzo 1852 negli Stati Uniti. Un libro, questo, che scosse non poco l’opinione pubblica americana. Ci troviamo a metà dell’Ottocento e si stanno andando consolidando i prodromi di quella che sarà la Guerra di secessione americana. Dunque, ben lontani da quelle idee di uguaglianza e libertà per una popolazione considerata dai bianchi legittimamente schiava.

un dipinto di Edwing Longsten Long raffrigurante lo zio Tom ed Eva
By Edwin Long – scan of painting, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7312335-artepssante.it

 

Il momento in cui Harriet Elizabeth Beecher Stowe scrive “La capanna dello zio Tom” è non di poco precedente alla legiferazione del tredicesimo emendamento della Costituzione. Un tempo durante il quale la schiavitù e la sua legittimità si stavano solo iniziando a mettere in discussione. Questo, specialmente negli Stati del Sud, ben più resistenti all’idea. Il tredicesimo emendamento aboliva a tutti gli effetti la schiavutù nel Paese solo il 18 dicembre 1865.

Harriet Elizabeth Beecher nasce in Connecticut, nel nord degli Stati Uniti, nell’anno 1811. Harriet era la settima figlia di un ministro calvinista e pastore congregazionista, Lyman Beecher. Fu dunque allevata con i suoi nove fra fratelli e sorelle, in un contesto molto religioso. Nel 1832 il padre, il reverendo Beecher, fu chiamato a spostarsi a Cincinnati, una città vicino al confine dell’Ohio, per fondarvi un seminario. Per tale ragione, vi si trasferì con tutta la famiglia.

Nel 1836 Harriet sposò Calvin Stowe, amico del padre, e ne prese il cognome. Pur avendo avuto sette figli, con tutti gli obblighi che la figura di madre e moglie all’epoca inevitabilmente le portarono, iniziò a nutrire una profonda passione per la scrittura. Il suo esordio avvenne nel 1834 con l’opera “Mayflower”, costituita da scene che ripercorrevano la storia e le vicende dei Padri Pellegrini. Più tardi, Harriet Stowe iniziò a prendere sempre più coscienza della situazione degli schiavi nel Paese. Non nascondeva le sue simpatie antischiaviste, e le vide condivise anche dal padre e dalla cognata. Prende inizio da qui il suo impegno civile in favore dell’abolizionismo.

Nel 1850, la donna fece ritorno nella Nuova Inghilterra, oggi corrispondente al Midwest. Nel medesimo anno, la Legge sugli schiavi fuggitivi divenne effettiva. Questa decretava che gli schiavi fuggiti da Stati schiavisti in Stati liberi dovessero essere arrestati e poi restituiti ai proprietari nello Stato di origine. In seguito a una lettera ricevuta dalla cognata Catherine, Harriet decise di scrivere un’opera che illustrasse la condizione degli schiavi.

Nel 1852 presentò i suoi scritti al giornale di Washington “National Era”, che prese a pubblicare a puntate “La capanna dello zio Tom”. La popolarità del libro di Stowe crebbe enormemente, raggiungendo il grande pubblico, tanto da aver dato inizio a una presa di coscienza generale nei confronti della causa abolizionista. Esiste addirittura un aneddoto, raccontato dal figlio della scrittrice Charles Edward Stowe in “Harriet Beecher Stowe: The Story of Her Life (1911)” secondo il quale il presidente Abraham Lincoln, incontrando Stowe, le avesse detto “So, you are the little lady who caused this big war” (tradotto “Dunque, lei è la piccola signora che ha scatenato questa guerra).

Le opere successive di Stowe non ricevettero la stessa entusiastica accoglienza di “La capanna dello zio Tom”. Fra queste ricordiamo “Dred, racconto della palude desolata”, del 1856, continuazione del più celebre romanzo, e “Cittadini d’altri tempi”, del 1869. Stowe, nel corso della sua vita, portò avanti altre cause civili, fra le quali quella per la difesa degli animali, abbracciando il vegetarianesimo.

La capanna dello zio Tom e il lungo cammino dell’abolizionismo

L’opera di Stowe ripercorre le tristi vicende del personaggio di zio Tom e della lunga sofferenza patita dagli schiavi neri negli Stati Uniti, attorno alla quale si intrecciano le storie di altri personaggi. Il romanzo raffigura la crudele realtà della schiavitù, presentandola a un pubblico americano non consapevole del dolore che questa condizione si portava dietro.

copertina della prima edizione del libro "la capanna dello zio Tom" con incisione d'epoca e il nome dell'autrice
Hammatt Billfggccxxxxings – http://muarchives.missouri.edu/images/exh_libraries/LE-SpecUncleTomsCabinLarge300res.JPG (Original work is in the public domain), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1974957-artepassante.it

 

La vicenda si dipana dapprima in Kentucky. Qui Arthur Shelby, ricco proprietario di schiavi caduto in disgrazia, deve vendere due dei suoi schiavi a tale Haley, celebre per la cua crudeltà. Uno di questi è Tom, considerato da Shelby come uno dei suoi più fidati collaboratori. L’altro è un bambino di appena cinque anni, messo in salvo dalla madre Eliza che lo conduce oltre il fiume Ohio, dove trovano soccorso presso dei quaccheri. Il marito George Harris riesce a raggiungere Eliza e il bambino, e insieme i tre riescono a fuggire verso la libertà in Canada.
A Tom tocca una sorte molto diversa. Conscio del buon cuore del suo padrone, che mai l’avrebbe venduto se non per estrema necessità, lasciano che lo incatenino. Tom non oppone resistenza, essendo lui stesso un convinto sostenitore della non-violenza. Il figlio di Shelby, George, promette che un giorno ritroverà Tom e farà di lui un uomo libero.

A questo punto la narrazione si sposta in Lousiana, dove Tom giunge con un piroscafo. Sulla barca, fa la conoscenza di Augustine St.Claire, proprietario terriero, e di sua figlia Eva. La piccola Eva, sporgendosi troppo dal parapetto cade in acqua, ed è Tom che prontamente la salva. Per tale ragione, Augustine St.Claire decide di comprarlo e di portarlo con sé nella sua proprietà. Trascorrono due anni, ed Eva muore. Tom è colpito dal dolore per la perdita della bambina, e Augustine, per tale ragione, decide di iniziare a compilare i documenti necessari per restituire la libertà a Tom. Tuttavia, poco prima di ratificare questi documenti, Augustine muore a causa di una rissa.

Tom viene dunque venduto, ancora una volta, a un altro perfido proprietario, Simon Legree. Tom è tristemente destinato alla piantagione di cotone di Legree sul Red River, fiume del Mississippi. Legree pensa di poter sfruttare Tom, e farlo aguzzino. Tom si rifiuta, perché mai farebbe del male ai suoi compagni di sventura, e per tale ragione viene ucciso dal proprietario.

Nel frattempo, George Shelby non ha mai dimenticato Tom e, ormai abbastanza adulto, si mette sulle sue tracce. Riesce a ripercorrerne le tappe, giungendo infine alla proprietà di Legree, non sapendo che è troppo tardi. Trova Tom in puto di morte. Non potendo riscattare Tom per renderlo libero, fa ritorno in Kentucky e libera tutti i suoi schiavi.

La letteratura afrodiscendente oggi

Il problema sistemico del razzismo è qualcosa con i quale gli States fanno i conti anche oggi. Testimone è il movimento del Black Lives Matter, che ha raccolto consensi anche fuori dai confini americani. E che, in più, ha invitato a una serie di riflessioni e di ripensamenti sulla cultura e sulla società di ieri e di oggi.

Il razzismo, si è detto, è difficile da estirpare, e ci sono molti autori e autrici afrodiscendenti che, dalla loro condizione, hanno scritto meravigliosi libri sul tema. Molti a partire dalla consapevolezza del dolore inflitto ai propri predecessori.

Proprio in virtù di questa lunga storia di violenza, molti degli autori si concentrano sulla condizione di schiavitù e poi di esclusione sociale vissute nel passato. Fra questi annoveriamo sicuramente “Il colore viola” di Alice Walkerdi recente uscita inoltre il film tratto dal romanzo. Ma anche, della stessa autrice, “La terza vita di Grange Copeland“. Entrambi i romanzi indagano le situazioni di disagio sociale da parte della comunità afroamericana. O ancora, “L’occhio più azzurro” di Toni Morrison, nel quale una bambina afrodiscendente desidera avere gli occhi di Shirley Temple, specchio dello stereotipo di bellezza che permea una società prevalentemente bianca. Infine, “Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop” di Fannie Flagg, sulla difficoltà delle persone afrodiscendenti di uscire dalla condizione di schiavitù o di servitù.

Si tratta di testi fondamentali, ma non sono certo i soli, che riescono a far conoscere un problema le cui radici sono ancora fin troppo salde.

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