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Carla Accardi: a Roma la mostra a un secolo dalla sua nascita

A oggi, le sue opere sono esposte nei musei di molte grandi città italiane fra cui Roma, Bologna, Palermo, Torino, Milano, Modena e Firenze. Ma anche a Parigi e New York

Carla Accardi nasce a Trapani il 9 ottobre 1924. Nel 1947 si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo, ma decide presto di spostarsi a Roma. Nella Capitale entra in contatto con artisti, attori e registi che frequentavano la città e che avevano come punto di ritrovo l’Osteria Fratelli Menghi, a pochi passi dalla centralissima Piazza del Popolo.
In questo ambiente fatto di arte e di libero pensiero, Accardi fonda nel 1947 il Gruppo Forma 1. Nel collettivo erano presenti artisti come Pietro Consagra, Mino Guerrini, Ugo Attardi, Carla Accardi, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato, e Piero Dorazio. Gruppo Forma 1 aveva un impianto d’ispirazione formalista e marxista, tipico degli intellettuali di sinistra a cavallo fra gli anni ’50 e ’70. Fino al 1949 il Gruppo esponeva in mostre collettive, ma solo un anno dopo Accardi ottenne una personale presso la Libreria Age D’Or di Roma.

Da allora, il suo percorso artistico smise di essere relegato al solo ambiente romano. Già nel 1951 la vediamo a Milano, dove presso la Libreria Salto frequenta gli artisti del MAC – il Movimento per l’arte concreta. La ritroviamo a Parigi, dove fa la conoscenza di Alberto Magnelli e poi nel 1955 di nuovo a Roma, con una personale tenutasi presso la Galleria San Marco. Sempre nel 1955 partecipò, invitata dal critico Michel Tapié, alla rassegna internazionale “Individualità d’oggi”, che ebbe luogo sia a Roma che a Parigi.

Fra il finire degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Accardi, la quale aveva già maturato posizioni di sinistra, si avvicinò al movimento femminista italiano. La sua presenza fu di grande importanza, al fianco di Carla Lonzi e di Elvira Banotti.

La ricerca artistica di Accardi procede verso l’automatismo segnico fino all’inizio del decennio successivo. Nel 1965 l’artista decise di abbandonare le tempere per dedicarsi all’uso di vernici colorate e fluorescenti, da applicare su supporti plastici trasparenti. Questo cambio di rotta segnò la sua uscita da una dimensione artistica legata puramente all’idea del quadro, indagando lo spazio. Il suo impulso si rese findamentale per gli artisti che abbracciarono la corrente dell’Arte Povera. Nel corso degli anni Settanta tornò a riprodurre gradi schemi geometrici su enormi tele chiamate “Lenzuoli“. Le opere di questo periodo vennero messe in mostra presso la Galleria Editalia di Roma nel 1974.
Le esperienze artistiche maturate nel corso degli anni Settanta verrano spesso approfondite, rielaborate e rimaneggiate per tutto il decennio, fino al recupero di forme artistiche più tradizionali con l’avvento degli anni Ottanta.

A metà degli anni Novanta maturò due importanti riconoscimenti per la sua carriera di artista. Nel 1996 fu nominata membro dell’Accademia di Brera e nel 1997 fu membro della Commissione per la Biennale di Venezia come consigliere. Nel 1998 Trapani, sua città natale, le dedicò una retrospettiva – “Carla Accardi: opere 1947-1997” – nella Chiesa della Badia Grande.

Accardi muore a Roma nel 2014, in seguito a un attacco cardiaco.

A oggi, le sue opere sono esposte nei musei di molte grandi città italiane fra cui Roma, Bologna, Palermo, Torino, Milano, Modena e Firenze. Ma anche a Parigi e New York.

Carla Accardi con il Gruppo Forma 1 – @Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3010555-artepassante.it

Carla Accardi e il femminismo

La mostra dedicata ad Accardi è stata inaugurata a Roma il 6 marzo, solo un paio di giorni prima delle celebrazioni della Giornata Internazionale della Donna. Questo non solo perché Accardi è stata una delle poche artiste contemporaee italiane riconosciute come tali. Infatti, la pittrice lavorò per lungo tempo a stretto contatto con la filosofa femminista Carla Lonzi. Lonzi, a sua volta, fu autrice di numerosi testi fondanti per il femminismo italiano come “Sputiamo su Hegel” e “La donna vaginale e la donna clitoridea”, ma fu anche critica d’arte di spessore considerevole.

Carla Accardi entra in contatto con i movimenti femministi che iniziavano a far sentire la propria voce in Italia. Ma è nel 1970 che il movimento giunge al suo culmine, con la pubblicazione del Manifesto di Rivolta Femminile, stilato insieme alla critica d’arte e filosofa Carla Lonzi e alla scrittrice Elvira Banotti.

Non pochi critici, negli anni, hanno letto nell’opera pittorica di Accardi un messaggio femminista. L’artista infatti faceva ricorso al tratto bianco su sfondo nero, a rappresentare il distacco da qualcosa che è altro. Esattamente come per il femminismo, così Accardi affermava sé stessa in negazione rispetto all’altro per emergere dall’altro. Non è un caso che la cifra stilistica di Accardi è sempre stata l’identità e la differenza, concetti cari – ancora una volta – al femminismo.
Per tali ragioni, Tapié descrisse l’arte di Accardi come “art autre, “arte altra”. Questo, a designare una volontà di mettere una distanza fra sé e gli altri, ma anche di distruggere i significati.

Particolarmente interessante, dunque, l’interazione con la critica Lonzi. Le due infatti rappresentavamo un dialogo efficacissimo fra artista e critica, unite nella militanza. Come emerge anche in “Autoritratto” (una delle opere più importanti di Lonzi), Accardi inizia a mettere in discussione non solo l’arte e il suo ruolo, ma anche se stessa in quanto artista. Parla di autocoscienza, in quanto Accardi matura la consapevolezza di non essere solo un’artista, ma anche una donna. E ciò, nella società del tempo, non poteva avere implicazioni.

La sua partecipazione al movimento la vide condividere quegli anni di fermento con Lonzi e Banotti insieme ad altre donne che entrarono a far parte del gruppo. Una partecipazione che però durò appena tre anni, durante i quali emersero delle tensioni fra Accardi e Lonzi proprio sul tema dell’arte. Da una parte, la critica anarchica fiorentina credeva che il sistema patriarcale avesse pervaso ogni aspetto della vita, dunque anche dell’arte. Lonzi credeva nel voler azzerare completamente tutto ciò che era conosciuto e riconosciuto come arte, al punto di non riuscire più a distinguere artista, critico e fruitore. Accardi invece aveva intenzione di voler seguitare nella sua attività di artista con il proprio sentire, e si distaccò da Lonzi e Banotti nel 1973, portando avanti una sua poetica.

La mostra al Palazzo delle Esposizioni

Era giuto davvero il momento di celebrare una grande artista italiana del calibro di Carla Accardi. Le sue opere, infatti, saranno esposte fino al 9 giugno presso il Palazzo delle Esposizioni a Roma.

L’itinerario della mostra ripercorre le tappe dello sviluppo dell’artista Accardi in cento opere composte fra il 1946 e il 2014, anno della morte. Un percorso a testimonianza del suo ruolo di innovatrice nell’astrattismo italiano del dopoguerra. Una produzione artistica intensa fatta di incessante ricerca che ha contribuito alla nascita di un nuovo modo di intendere l’opera d’arte in Italia.

L’esposizione prende le mosse dalle prime opere, che presentano ancora dei cenni di realismo figurativo. Poi, quelle realizzate nell’ambito del collettivo Gruppo Forma 1, nel quale la vediamo già sfidare le convenzioni. Inizia a intravedersi l’intenzione di scomporre la materia.

Seguono le opere che costituirono l’acme del suo percorso, realizzate fra il 1955 e il 1961, dominate dal bianco e nero e dall’impostanza dell’emersione del segno. Dopo ancora, quelle del suo periodo di adesione al gruppo di Rivolta Femminile e quelle della cesura, inaugurate dall’esperienza della Cooperativa Beato Angelico, fondata nel con altre due artiste che come lei avevano aderito a Rivolta Femminile. Ad Accardi, Colucci e Santoro, infatti, si unirono altre otto artiste. Le opere di questo periodo riflettono gli aspetti più intimi, emozionali ed esplicitamente femministi che intendeva tenere lontani dalla critica.

Seguono le opere più significative degli anni Ottanta, che culminano con la sua personale alla Biennale di Venzia del 1988.

Tutte le cento opere esposte seguono la dispoizione voluta da Accardi, la quale credeva nel costante dialogo tra spazio e oggetto artistico.

Francesca Di Rocco

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