Marco Cavallo libera tutti: quando l’arte diventa sinonimo di libertà

La storia di Marco Cavallo e degli internati del manicomio di Trieste fa emergere uno spaccato di storia, ma anche di umanità e di arte. In occasione del centenario della nascita di Franco Basaglia, il racconto di come un uomo visionario ha liberato i suoi pazienti dalle mura del manicomio e dallo stigma sociale attraverso l’arte

Franco Basaglia: lo psichiatra visionario

Il nome di Franco Basaglia sicuramente farà risuonare più di qualche campanello nella nostra memoria. Ricordato a lungo per esser stato colui che ha permesso la chiusura dei manicomi nel nostro Paese, Basaglia era anche molto più di questo. Lo ricordiamo a cento anni dalla sua nascita per aver messo sotto gli occhi di tutti gli italiani le condizioni disumane cui erano sottoposti gli internati e le internate dei manicomi italiani. È a oggi considerato lo psichiatra italiano più influente del XX secolo.
Basaglia non solo credeva fermamente nei rapporti umani e nel potere della cooperazione, ma anche nell’arte come liberazione. Basaglia fu psichiatra e neurologo, grande innovatore nel campo della salute mentale tanto da divenire riformatore della disciplina psichiatrica nel nostro Paese.

statua di marco cavallo
Marco Cavallo| Itinerari Basagliani – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=88205949

Chi era Franco Basaglia

Franco Basaglia nasce a Venezia l’11 marzo 1924. Dopo il diploma di maturità classica, si trasferisce a Padova per studiare all’università. A causa dell’accusa di antifascismo, viene persino arrestato e detenuto nelle carceri della Repubblica Sociale Italiana. Si laurea in medicina nel 1949, senza mai trascurare il suo interesse per la filosofia.

Nel 1958 ottiene la docenza di psichiatra. Tuttavia, il mondo accademico sembrava ancora troppo conservatore rispetto alle sue istanze. Per tale ragione, si trasferisce a Gorizia per dirigere il manicomio della città. Quale ammiratore e sostenitore delle tesi di Foucault, l’impatto con il manicomio è per lui durissimo. La sua ambizione è quella di demolire le gerarchie all’interno dell’istituzione manicomiale. Da amante delle arti, decide di istituire nella struttura di Gorizia dei corsi di teatro e di arte, ma anche una cooperativa di lavoro per restituire dignità sociale agli internati.

Nel 1971 Basaglia viene trasferito a Trieste per dirigerne il manicomio. Il manicomio di Trieste diventa il vero campo di prova di Basaglia e del suo metodo, che si rivela di successo. Nel 1973 fonda il gruppo “Psichiatria Democratica”, per la promozione di nuove tecniche di trattamento in ambito psichiatrico.
Il vero traguardo di Basaglia è infatti la creazione della legge 180/1978, approvata il 13 maggio del 1978. La legge introduce la revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici in Italia promuovendo radicali trasformazioni nel trattamento sul territorio dei pazienti con problemi psichiatrici.

Dopo un periodo in Brasile, costituito più che altro da cicli di conferenze sulla sua esperienza, Basaglia si trasferisce a Roma. Nella capitale diviene coordinatore dei servizi psichiatri della Regione.

Purtroppo, Franco Basaglia muore nel 1980. Muore nella sua Venezia, città dalla quale si era allontanato per studio e lavoro ma che rimase per sempre il luogo del ritorno del medico che ha cambiato il volto della psichiatria non solo italiana.

La bellissima storia di Marco Cavallo

Il 12 giugno del 1972 gli internati del manicomio di Trieste fanno recapitare una missiva al presidente della provincia. Nella lettera gli internati e le internate chiedono che Marco, il cavallo che dal 1959 trasportava materiali all’interno della struttura dove questi erano ospitati, venga salvato per non andare a morire in un macello. Gli interanti prendono così a cuore il destino del povero Marco che promettono di provvedere a lui economicamente e materialmente, fino alla fine naturale dei suoi giorni. Fortunatamente, Marco scampa la morte – e venne persino sostituito da un autocarro – per la felicità degli ospiti del manicomio friulano.

Franco Basaglia all’epoca, era direttore della struttura manicomiale triestina. In seguito a questo episodio promuove la realizzazione di un cavallo di legno. Anche questo progetto è un successo. Grazie all’aiuto dell’artista Giuliano Scabia (già noto per la sua carriera di drammaturgo e scrittore), la creazione è presto portata a termine, seguendo alla lettera i suggerimenti forniti dagli stessi internati.

Il risultato è una scultura in legno e cartapesta alta ben quattro metri e dipinta di azzurro come il cielo, tanto alto da quasi mimetizzarcisi. Il cavallo di cartapesta diviene per gli internati la raffigurazione e l’incarnazione dei propri sogni di libertà. Il cavallo cammina in trionfo per le vie della città, a simboleggiare proprio la liberazione dei e delle pazienti dagli stereotipi dei quali erano vittime in quanto “pazzi” e dunque pericolosi, da tenere lontani dalla società civile. Un episodio, in particolare, invita a un’ulteriore riflessione. Perché Marco possa uscire dalla struttura manicomiale, è necessario distruggere la porta, l’architrave e un muro. Pare che Basaglia in persona sia il reale fautore e attuatore di questo piano per liberare Marco dalla prigionia.

Marco Cavallo libera tutti!

In seguito alla sua liberazione, il cavallo Marco gira il mondo accompagnato da diversi artisti, poeti, scrittori. Marco Cavallo assume quel valore simbolico e civile che ancora oggi rappresenta la voce della sofferenza degli emarginati, degli oppressi e degli incompresi. Ma non solo: Marco Cavallo diventa un’opera d’arte totale, fatta di arte figurativa, danza e musica.

Valentina Valentini, eminente studiosa della performance e del teatro, descrive l’interazione di Scabia con gli ospiti del manicomio di Trieste, dalla cui esperienza scaturì il progetto di Marco Cavallo, nel 1973.

Valentini, nel suo “New Theatre in Italy 1963 – 2013”, riporta interamente la dichiarazione di Scabia riguardo il progetto. Anzitutto, il drammaturgo radunò un gruppo di artisti fra i quali pittori, attori, insegnanti, filosofi, scrittori, registi e insegnanti di teatro. Tutto ciò, ammette Scabia, senza avere la benché minima idea di cosa fosse la psichiatria, né sapendo quale approccio utilizzare con i pazienti. Senza un vero e proprio piano, Scabia e i suoi entrarono nel manicomio, dove venivano chiamati “gli artisti”, con reverenza e distacco da parte dei pazienti. Scabia riferì di questo come un periodo di grande consapevolezza e trasformazione per tutti coloro che vi presero parte. Per una volta, si trovavano di fronte all’umanità più cruda, e allo stesso tempo più bisognosa di amore.

Con grande costanza gli artisti si integrarono nella comunità manicomiale e, per due mesi, tutti lavorarono braccio a braccio per il progetto di Marco Cavallo. Non solo gli artisti e i pazienti, ma anche i medici, gli infermieri e gli inservienti.

Man mano, Marco Cavallo prese vita non solo come statua di legno, ma anche come spettacolo teatrale, con tanto di musica e danze, filmato e raccontato dallo stesso Scabia nel suo libro “Marco Cavallo – Da un ospedale psichiatrico la vera storia che ha cambiato il modo di essere del teatro e della cura”.

Scabia concluse il suo racconto parlando del grande senso di libertà che pervase tutto e tutti nel momento in cui Marco Cavallo valicò i muri del manicomio per immettersi nelle strade della città di Trieste. Tutti, disse Scabia, cantando la canzone composta per l’occasione, con un testo che è un accorato appello alla libertà, all’umana comprensione e alla collaborazione (G. Scabia, Marco Cavallo: Un’esperienza di animazione in un ospedale psichiatrico, Einaudi, Torino, 1976, 12).

La storia di Marco Cavallo rimane oggi un grande esempio di umanità, ma anche di come l’arte sia in grado di aiutare e di liberare. E questo Basaglia lo aveva capito molto bene.

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