L’arte è un modo di rappresentare il nostro mondo interiore, ecco le opere che uniscono al meglio psicologia, arte e inconscio
In un quadro c’è molto più di pittura, tempere o acquarelli. Sulla tela c’è parte dell’artista che l’ha realizzato, un po’ come se la tela diventasse lo specchio dei tormenti, delle passioni, delle emozioni che si annidano nell’animo di chi realizza il quadro. Ecco perché ci sono quadri in grado di conquistarci più di altri: perché vediamo riflessi i nostri stessi desideri e tormenti, e ci sentiamo capiti.
Ma scopriamo più nel dettaglio il legame tra psicoanalisi, inconscio e arte.
Partiamo dal presupposto che il connubio arte e psicologia esiste da molto prima dell’avvento della psicoanalisi. Infatti, anche se prima probabilmente non c’erano termini quali inconscio o es, l’arte era comunque una valvola di sfogo per gli artisi, una sublimazione della loro realtà interiore. Ogni pennellata, ogni scelta di colori, di soggetti o di stili, racconta in qualche modo cosa stava avvenendo nella mente e nell’animo di chi li ha stesi abilmente sulla tela.
Grazie agli studi di Freud, però, si è arrivati ad una maggiore consapevolezza di questo legame indissolubile tra opere e interiorità, ma se ci pensate bene già filosofi come Schopenhauer, Hegel o Croce, Kant o Nietsche consideravano l’arte come una libera espressione dell’animo.
Ciò che Freud aggiunge è il concetto di processo abreativo, ovvero come l’arte riesca a liberare le persone da tensioni e conflitti inconsci, un modo per soddisfare i propri istinti e le proprie pulsioni senza venirne sopraffatti. Ovvero un modo per plasmarli, dargli forma e renderli più gestibili.
Sigmund Freud, padre fondatore della psicanalisi, era convito che Leonardo avesse fatto i conti con il suo vissuto e la sua storia familiare per tutta la vita, basando la sua teoria principalmente su un quadro di Leonardo: Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino. Nelle due figure femminili è come se l’artista avesse rappresentato le sue due madri, ovvero la sua madre biologica e la sua matrigna, come se avesse buttato su tela la sua confusione e le sue emozioni rispetto al periodo della sua infanzia rispetto a questo conflitto di sentimenti per le due donne.
Dopo Freud, Jung, un suo allievo, continuò ad approfondire il legame tra arte e psicologia. Secondo lui esisteva il betrachten, ovvero una parola tedesca che in italiano significa “prendere in considerazione”, per Jung quindi fare arte significa che le immagini dell’inconscio, quando ci appaiono nella mente, assumono improvvisamente un significato che può essere accolto e sublimato sulla tela.
Ci sono delle opere che meglio di altre sono in grado di rappresentare il connubio tra arte e inconscio e oggi vogliamo mostrarvele.
Partiamo da un pittore olandese molto conosciuto e apprezzato che visse tra il 400 e il 500: Hieronymus Bosch.
I suoi mondi onirici, le sue rappresentazioni di loci amoeni, nonché il suo amore per figure a metà tra uomo e animale, lo rendono un pittore enigmatico. La sua arte può sembrare quasi folle ma è proprio per questo che incanta e risveglia in chi ammira le sue creazioni un senso di riconoscimento: vediamo sulla tela gli impulsi e quelle fantasie che soffochiamo dentro di noi perché il nostro lato razionale non riesce ad accettarle.
Tutte le sue opere sono un esempio di relazione arte e psicologia, ma qui ve ne riportiamo uno in particolare: Giardino delle delizie.
Si tratta di uno dei più grandi scultori del diciottesimo secolo. Gli impulsi inconsci traspaiono dalle sue opere in modo potente e arrivano diretti contro l’osservatore, come se dentro di lui lottassero costantemente tecnica e sentimento, arte e cura, pulsioni e razionalità. Basti pensare ai 38 busti, chiamati “teste di carattere” realizzati con smorfie ed espressioni incredule e sofferenti tanto accurate da farli sembrare vivi.
Vincent Van Gogh viveva in un equilibrio mentale precario. L’artista soffriva di allucinazioni, sentiva voci costantemente e si dice che arrivò addirittura a mangiare le tempere con cui realizzava i suoi quadri. La sua salute mentale, quindi, era labile e lo è stata per tutta la sua vita, finché ha compiuto l’estremo gesto di togliersela.
L’unico momento in cui l’artista riusciva a mettere a tacere le voci e rasserenarsi, era mentre dipingeva e gettava sulla tela il suo malessere. Ogni opera di Van Gogh nasconde elementi del suo inconscio, basti pensare a Notte stellata in cui il cielo vortica come se non volesse mai fermarsi, come il tumulto interiore che Van Gogh viveva costantemente.
Freud e Munch hanno vissuto più o meno negli stessi anni, ma non sappiamo se i due si siano mai conosciuti. Eppure, la storia di vita di Munch e le sue opere ben si prestano alla psicoanalisi. Infatti Munch ha perso la madre da piccolo per tubercolosi e la stessa malattia portò via anche la sorella, obbligando l’artista a vivere da vicino gli aspetti più cruenti della malattia, che arriva a fare sputare sangue, soprattutto nella fase terminale.
In Munch perciò la figura della donna si fonde con quella del sangue e della morte ed è qualcosa di riscontrabile in moltissime delle sue opere. Ne è un esempio l’opera Amore e dolore, anche conosciuta come Vampiro: qui una donna sembra che stia abbracciando in modo protettivo un uomo ma in realtà si sta nutrendo del suo sangue, rappresentato dalla chioma rossa che tutte le donne che Munch disegna hanno sempre.
Il conflitto irrisolto per la morte della madre vive nelle opere di Munch, insieme al trauma di aver perso due persone che amava in modo così tragico e cruento.
“Nel periodo surrealista desideravo creare un’iconografia del mondo interiore, il mondo fantastico, quello del padre Freud. E ci sono riuscito!”
E ci riuscì davvero. Infatti, Dalì diede vita alla corrente del Surrealismo, che secondo l’artista è un modo di fare emergere il proprio inconscio, in particolare la paranoia, infatti lui stesso definisce il suo metodo: paranoico-critico. Lui riesce a razionalizzare questo suo lato attraverso l’arte e possiamo dire che tutti gli artisti surrealisti dopo di lui abbiano continuato ad essere debitori a Freud. Colui che scrisse il manifesto del Surrealismo fu Breton e noi non potremmo trovare parole migliori per descriverlo:
“L’immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri diritti. Se le profondità del nostro spirito racchiudono strane forze capaci d’aumentare le forze di superficie o di contrapporsi vittoriosamente ad esse: v’è tutto l’interesse a captarle prima, per poi sottometterle, se appare necessario, al controllo della nostra ragione”
Una delle opere che meglio descrivono il rapporto tra arte e inconscio in Dalì è sicuramente La persistenza della memoria. In questo quadro Dalì rappresenta un mondo surreale in cui il tempo non ha significato. Uno degli orologi è ricoperto di formiche e pare sia un modo di esorcizzare la sua paura, infatti Dalì aveva una vera fobia nei confronti delle formiche.
In conclusione, non ci sarebbe arte senza una realtà interiore da raccontare, e anche solo in un ritratto o nel rappresentare un paesaggio, ogni artista ci regala la sua impressione di quel volto o paesaggio, per quanto realistica e accurata possa essere la sua tecnica.
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