Arte

Quando l’arte parla di pace: 5 opere contro la guerra

L’arte non è sempre astratta, spesso parla di realtà crude e difficili come quella della guerra. Ecco alcuni famosi esempi

Siamo tutti d’accordo nel dire che spesso l’arte ci prende per mano e ci porta in luoghi astratti, consentendoci di evadere dalla realtà con la potenza di un’opera. Eppure, l’arte spesso si cala nel mondo reale e ce lo racconta, lo denuncia, ci fa riflettere su aspetti della vita di tutti i giorni o su avvenimenti storici densi di significato.

Oggi vogliamo parlarvi di questo tipo di arte: quella che ci racconta la pace, mostrandoci anche come si è arrivati a raggiungerla. Non stupitevi perciò se in questo elenco troverete scenari di guerra, perché purtroppo la pace ne è sempre una conseguenza.

5 capolavori che fanno riflettere sulla guerra

Guerra e dolore che portano a pace e guarigione. Un ciclo continuo che ha continuato a vorticare per centinaia di anni e ancora oggi non si è fermato. Basta aprire un giornale o accendere la tv per rendersi conto che non lo ha fatto: la parola guerra esiste ancora e per fortuna anche la parola pace, per quanto ad oggi ci sembri lontana.

Non impariamo mai, ricadiamo sempre negli stessi errori come un loop infinito e senza uscita. Vediamo però come gli artisti hanno voluto scendere in campo con le loro opere, facendosi messaggeri di pace e denunciando la violenza della guerra. Per farlo, cominciamo da uno dei quadri più famosi di Picasso.

Guernica – Picasso

Guernica – Creative Commons Attribution 2.0 – artepassante.it

Una prima caratteristica ci salta all’occhio: il quadro è in bianco e nero, come se il colore non fosse adatto per raccontare visivamente gli orrori della guerra.

Il 26 aprile 1937 Guernica, piccola città spagnola, viene bombardata dai tedeschi e nel dipinto possiamo vedere lo strazio di quei momenti, il dolore e la paura sono tangibili.

Davanti alla morte siamo tutti uguali e non c’è più differenza tra uomini e animali, la guerra sconvolge tutti, ecco perché possiamo vedere anche un cavallo disperato tra la folla.

Il 3 maggio 1808 – Goya

Goya ha raccontato parecchio la guerra nelle sue incisioni, infatti ha realizzato una serie di 82 incisioni chiamate proprio “I Disastri della Guerra” in cui ha mostrato tutto il peggio che la guerra porta con sé e tutte le barbarie con cui la povera gente deve fare i conti. In questo quadro assistiamo a una fucilazione, che ci viene proposta in modo crudo e reale, mostrandoci sangue e sgomento.

A impugnare i fucili sono i soldati francesi mentre sulla sinistra vediamo la povera gente che si arrende, si nasconde e alza le mani in segno di resa, ma questo non basta a fermare i soldati.

Il volto della guerra – Salvador Dalì

Il volto della guerra – Flickr @James Vaughan – artepassante.it

Se la guerra fosse un essere vivente, avrebbe con tutta probabilità il volto dipinto da Dalì in questo quadro. Un volto deforme molto simile a un teschio, e al posto degli occhi e della bocca troviamo altri teschi, come se la morte al suo interno non avesse mai fine. Una sorta di effetto matrioska di morte e desolazione.

Inoltre, il teschio è poggiato sulla sabbia del deserto, come se Dalì volesse ricordare quanto arida possa diventare l’esistenza delle persone in tempi di guerra.

Il quadro è stato realizzato durante la Seconda Guerra Mondiale e oggi è conservato al museo Boijmans Van Beuningen a Rotterdam.

La libertà che guida il popolo – Eugène Delacroix

In questo caso vediamo l’orrore della guerra ma contrapposto anche a un messaggio di speranza potente. Una donna sventola la bandiera della Francia, spronando uomini di ogni classe sociale a seguirla e a continuare a lottare per la Rivoluzione contro Carlo X.

La lotta per la libertà, l’unione di un popolo solitamente diviso in classi per un obiettivo comune, per dei valori condivisi ci ricorda del perché a volte può sembrare che valga la pena combattere, perché inseguire un ideale può essere giusto, ma ci fa sorgere anche un dubbio: per proseguire bisogna calpestare i morti e causare altre vittime, perciò possiamo davvero considerarlo giusto?

Delacroix sicuramente questa domanda non se l’è posta, e il suo messaggio era il primo che abbiamo citato, ma vi invitiamo comunque a rifletterci su.

Il bambino che mette il fiore nel fucile del soldato – Banksy

I fucili feriscono e non possono fare del bene. Eppure sul muro di Betlemme, Banksy ha voluto farci riflettere rappresentando un bambino che inserisce un fiore, unico elemento colorato dell’opera, all’interno del fucile di un soldato. Ricordandoci che gli oggetti sono solo oggetti e che la loro finalità e la loro pericolosità, in questo caso, dipende solo dall’utilizzo che decidiamo di farne. Siamo noi a decidere se scegliere la violenza oppure no.

L’innocenza del gesto del bambino, tanto semplice e delicato, ci ricorda che può sempre nascere un fiore di speranza, anche durante gli orrori della guerra, e quel fiore va conservato e protetto, perché è il primo passo per la pace.

Non esiste pace senza guerra

Vi abbiamo parlato di cinque opere che raccontano la guerra denunciandola, con chiavi di lettura differenti ma ugualmente potenti. Per parlarci di pace ci hanno raccontato la guerra perché purtroppo non esiste pace senza guerra, non esiste epilogo senza inizio.

Quello che queste opere dovrebbero lasciarci addosso è un senso di inquietudine. Il loro obiettivo non è farci sentire meglio o rassicurarci, l’obiettivo è farci riflettere sulla devastazione della guerra, che sia per un ideale, per un pezzo di terra, per ragioni economiche, la guerra è sempre guerra e il dolore è sempre lo stesso, la violenza è sempre la stessa.

Perciò non guardate in modo sognante a queste opere come fossero un messaggio di pace, leggetele come una storia con un finale che non è ancora stato scritto, che in passato forse si è conclusa con una pace più o meno duratura, ma che non è mai scontato.

La pace non è scontata, e forse dobbiamo ricordarcene soprattutto al giorno d’oggi, in cui siamo abituati a ripeterci che dopo ogni temporale esce sempre il sole, che torna sempre la calma, ma se non fosse così? Se questo dipendesse da noi e dal tipo di finale che decidiamo di scrivere?

Chiediamocelo mentre ammiriamo questi capolavori.

Alessia Barra

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