Le opere d’arte più importanti rubate da Napoleone

Vennero raccolte in un museo chiamato con il nome dell’Imperatore, Musée Napoléon, le opere sottratte durante le cosiddette spoliazioni napoleoniche in Italia, in Belgio e in mezza Europa. Una collezione sconfinata che ebbe però vita breve, perché al Congresso di Vienna venne stabilita la restituzione almeno parziale delle opere d’arte trafugate ai paesi d’origine, con il conseguente smantellamento del museo.

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Immagine di dominio pubblico – artepassante.it

La nascita del Louvre

Con l’inizio della Rivoluzione francese si assiste a un ritorno alla pratica dei saccheggi di opere d’arte, che venivano requisite al clero e agli aristocratici emigrati o condannati a morte oppure distrutte per far sparire i simboli dell’Ancien Régime. Questa furia iconoclasta provocò la più ingente perdita di opere d’arte in Francia, e seguì un tentativo di salvaguardia da parte dello Stato: i beni culturali, essendo parte del patrimonio nazionale, andavano preservati per il bene della comunità. Le opere superstiti vennero quindi radunate ed esposte al pubblico, nell’edificio che doveva essere la pinacoteca reale: ovvero il palazzo del Louvre.

Le spoliazioni napoleoniche

Ma a riempire le sale del Louvre furono soprattutto le armate rivoluzionarie attraverso un sistematico lavoro di sottrazione di opere d’arte nei territori conquistati. Ad Anversa, Bruges, Bruxelles e altre città furono requisiti manufatti in oro e argento e dipinti di Rubens e dei maestri fiamminghi. Ma l’apice fu raggiunto durante le campagne napoleoniche, quando venne concepito il progetto di un grande museo con il preciso scopo di rappresentare la potenza e il prestigio raggiunti dall’Impero. A farne le spese fu soprattutto l’Italia dove Napoleone fece in modo di inserire le opere confiscate tra le clausole degli armistizi e dei trattati di pace, e perfino come contributi di guerra.

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Pixabay @Matt86 -artepassante.it

Le opere sottratte

A Milano, riporta Antonio Paolucci, furono sottratti il disegno preparatorio di Raffaello per la Scuola di Atene, il Codice atlantico di Leonardo, il manoscritto miniato delle Bucoliche di Virgilio, l’Incoronazione di spine di Tiziano. Da Modena e Ferrara vennero inviati in Francia dipinti del Guercino, dei Carracci, di Dossi e Reni; da Parma opere di Correggio; da Bologna quadri di Raffaello, Reni, Domenichino, Carracci, insieme a mosaici, sculture, manoscritti. Con il Trattato di pace di Tolentino, nel 1797, la nazione francese diventava proprietaria delle opere requisite, un nucleo importante nella storia del Louvre. Da piazza San Marco a Venezia vennero asportati anche il leone di bronzo simbolo della città e i quattro cavalli di bronzo collocati sulla facciata della basilica, provenienti da Costantinopoli.

Nel 1798 fu la volta di Roma da cui partirono opere d’arte antica (il Laocoonte, l’Apollo e il Torso del Belvedere, il Fanciullo che strozza l’oca, Amore e Psiche, il Discobolo di Mirone, il Galata morente, le statue colossali del Nilo e del Tevere), quadri di Raffaello (Trasfigurazione, Ascensione), Caravaggio (Deposizione), Giulio Romano (Sacra famiglia) e dei maestri del barocco seicentesco (Reni, Carracci ecc.), ma anche stampe antiche e codici miniati. Le campagne napoleoniche successive videro spoliazioni in Egitto, Prussia, Spagna. Dopo Waterloo, fu lo scultore Antonio Canova ad avere il compito di supervisionare le restituzioni, incaricato da papa Pio VII. Nonostante ostilità e sotterfugi per ostacolare il rientro delle opere, riuscì a riportare in Italia la Venere de’ Medici (oggi agli Uffizi) e i Cavalli della basilica di San Marco a Venezia, ma anche i tesori dei Musei Vaticani.

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